Evadere dal carcere grazie alla danza, la coreografa Carmen Castiello: Il mio viaggio incredibile con sei detenute

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in foto Odette Marucci

di Massimiliano Craus

La danza in Campania è ferma da ormai molti mesi, basti pensare che l’ultima rappresentazione è ancora il “Don Chisciotte” in scena al Teatro di San Carlo di Napoli e solo in questi giorni si è rialzato un sipario, quell’altro prestigioso di Villa Rufolo a Ravello, con Eleonora Abbagnato a calcare un palcoscenico senza pubblico! Ma in questo bailamme di assenze e solitudine raccontiamo una storia antica come il mondo, ovvero la detenzione a braccetto con la danza. Due personaggi allegorici incontrati da Carmen Castiello, coreografa e direttrice del Balletto di Benevento, impegnata in prima persona a seguire sei detenute nel loro percorso di recupero attraverso la danza. Ed è proprio l’artista sannita a raccontare questa esperienza di tre mesi nei meandri della casa circondariale a metà strada tra l’arte e le emozioni: “Attraversavo ogni volta molte porte prima di arrivare, accompagnata dai suoni freddi e metallici di grandi chiavi. L’ingresso che mi accoglieva era quello di una comunità con una parvenza di realtà domestica e continuando a percorrere il lungo corridoio, intriso di profumo di cibo e di caldo che veniva dalla cucina, si arrivava in una sala che somigliava ad un laboratorio. E’ lì che si poteva comunicare, apprendere e relazionarsi durante le attività: lavori esposti in un piccolo sistema sartoriale con manichini, pezzi di stoffa, penne, matite, pennelli e persino un metronomo…..e poi l’incontro con Antonella, Patrizia, Ines, Marianna, Marinella e Lina con una profonda commozione dopo l’ansia dell’attesa. L’incontro è stato con i loro occhi, occhi profondi e sguardi segnati dal dolore. Il volto scavato dal tempo, un tempo dilatato senza limiti!”.
Un viaggio incredibile che si è arricchito incontro dopo incontro per tre mesi ed uno spettacolo (“Oblivion”, ndr) con orchestra e voce narrante. Tutto voluto fortemente dalla Questura sannita. Tutto immaginato sulla falsariga del film “Le ali della libertà” del 1994 scritto e diretto da Frank Darabont! “Iniziavamo a lavorare solo sull’ascolto della musica, poi dei rumori e suoni “dimenticati” come il mare ed il vento, i ricordi e la malinconia, un percorso attraverso il quale svanivano i nostri confini per dare spazio ad un viaggio in cui affiorava la paura di dimenticare la vita ed essere dimenticate. La paura di dimenticare ed essere dimenticate mi lasciava una profonda angoscia! Lo spazio della reclusione, del castigo e della riflessione, uno spazio ristretto nella possibilità di svolgere esperienze, dove la percezione del tempo si estende a tal punto da non coincidere più con il tempo reale. L’esperienza della danza attraverso il laboratorio del movimento e della musica dava loro immediatamente la possibilità di appropriarsi di uno spazio interiore e di liberarsi, approdando ad una sensazione di libertà”.
Il percorso immaginato e realizzato da Carmen Castiello somiglia molto a quello realizzato nel carcere di massima sicurezza di Cibe, nelle Filippine, dove si è arrivati a realizzare progetti coreutici di centinaia e centinaia di detenute. Un merito ed un’audacia che anche nel carcere di Benevento ha potuto dare sollievo a sei detenute, ovvero sei ragazze più sfortunate che hanno potuto abbracciare Tersicore per almeno un trimestre. “Dopo un mese circa di laboratorio interpretavano i loro gesti con molta consapevolezza e cominciammo a raccogliere idee, impressioni e sensazioni per un racconto coreografico che partiva dalle loro scritture di fine laboratorio. Racconti che parlavano di separazioni da figli, amori e famiglie in un passato che si fondeva al presente. E la paura del futuro che era, in realtà, la paura di non avere un futuro! Lavorammo intensamente ed ininterrottamente, sostenute dalla presenza delle quattro danzatrici volontarie della Compagnia Balletto di Benevento Odette e Giselle Marucci, Ilaria Mandato e Lucrezia Delli Veneri. I loro movimenti si amalgamavano e diventavano un corpo solo per la loro capacità di mettersi in gioco, di comprendersi grazie alla musica dell’Orchestra cosicché i loro volti diventavano più distesi, sembravano riappropriarsi della propria femminilità. “Oblivion” era il titolo della performance, titolo introspettivo e struggente che si riallacciava al concetto della paura di dimenticare ed essere dimenticati da chi e da dove eravamo partite. Un pensiero triste che si trasforma in danza: riuscire a fondere un sentimento profondo, dolce e triste con l’istintualità della danza per potersi ritrovare. Dopo circa tre mesi dall’inizio del nostro lavoro, abbiamo portato in scena la nostra esperienza in occasione di una grande manifestazione organizzata dalla Questura di Benevento, nell’Auditorium Sant’Agostino con la presenza dell’Orchestra”.