La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo: l’arte serica e la storia che non ti aspetti

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Si trova a Napoli in pieno centro storico, tra il Decumano inferiore di San Biagio dei Librai e vico dei Santi Filippo e Giacomo, nelle strade della tradizione, dei turisti, del meglio e del peggio di Napoli. Tra vicoli e negozi, tra i motorini e le pizze a portafoglio, incastrata tra i palazzi, ecco la chiesa dei SS. Filippo e Giacomo.

Questo luogo di culto nacque per volontà della Corporazione dell’Arte della Seta nel 1593, allo scopo di ampliare il conservatorio già esistente che forniva ospitalità alle figlie dei tessitori poveri di Napoli. 

 

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L’arte serica a Napoli

La storia della chiesa è  strettamente intrecciata con quella dell’arte serica, che ebbe a Napoli, nei secoli, un centro assai fiorente, non meno della ben più nota arte orafa.

 L’Arte della Seta di sviluppò a Napoli a partire dal XI secolo, quando gli ebrei arrivati a Napoli nella zona di di Porta Nova danno vita alle prime botteghe che lavorano e vendono seta. La vera svolta però avviene quando a Napoli si inaugura una vera e propria produzione della seta, non più semplice lavorazione di un prodotto proveniente dall’esterno. Prima gli angioini, poi gli aragonesi appoggeranno questa attività artigiana e con essa la Corporazione dell’arte e della seta. Fu così che in tutto il Regno di Napoli la produzione si sviluppò raggiungendo livelli di eccellenza, allevamenti di bachi da seta si diffusero ovunque. Le particolari condizioni climatiche dell’area napoletana decretarono il successo di questa arte e la produzione di un filato particolarmente pregiato che presto si guadagnò fama di altissima qualità. La Corporazione ebbe come simbolo proprio tre fusi, peraltro visibili in ogni angolo della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo,a rappresentare i tre filati più importanti: quello di Napoli, di Amalfi e quello di Reggio Calabria. 

La diffusione della seta intanto cresceva e diventava parte integrante degli usi e costumi dei napoletani. La seta venne usata nelle chiese, sulle pareti, negli apparati funebri e per i paramenti sacri. Fu simbolo di potere di dignitari e regnanti, ma non solo. Essa ben presto non fu più solo appannaggio delle case reali e dei religiosi, ma fu utilizzata da buona parte della popolazione. Tra il 1500 e il 1600 Napoli fu definita come Capitale della seta.

La Corporazione dell’Arte della Seta

La Corporazione di Napoli nasce ufficialmente nel 1477, fuori le mura, in zona Mercato, col nome di Consolato dell’Arte della Seta; è retta da tre consoli, due mercanti e un tessitore. Fu grazie al re Alfonso d’Aragona che la Corporazione raggiunse la sua massima potenza. L’ascesa sociale  si tradusse in una serie di privilegi accordati ai membri della Corporazione, grazie all’appoggio dei regnanti: essa godette di importanti agevolazioni fiscali, che nessun altra corporazione di mestiere riuscì ad ottenere, gli venne concesso un proprio tribunale con funzione sia civile che penale su coloro che lavoravano la seta, fino ad arrivare al 1580 quando grazie all’accordo della Concordia, si decise che tutta la seta grezza prodotta nel Regno di Napoli sarebbe passata esclusivamente per il consolato napoletano.  

Visti i privilegi riservati agli iscritti alla Corporazione, essa cominciò a vedere una crescente richiesta di iscrizioni: mercanti, artigiani, tutti ne volevano far parte. La Corporazione offriva ai suoi iscritti una degna sepoltura, l’assistenza sanitaria e soprattutto essa fondò il conservatorio delle figliole dell’arte della seta. Le figliole erano le figlie degli artigiani meno abbienti ( dovevano essere rigorosamente figlie d’arte) che a nove anni potevano accedere a questo conservatorio, essere allevate ed educate nel timore di Dio. Potevano imparare l’arte serica e restare in conservatorio fino ai 15 anni, quando avrebbero potuto maritarsi portando con sé la dote di cinquanta ducati messa loro a disposizione dalla Congregazione. Non si trattava di un dono, in realtà: le ragazze lavoravano alacremente negli anni e la dote la guadagnavano tutta, diventando degli ottimi partiti. La Congregazione guadagnava molto dal lavoro delle fanciulle grazie ai “maritaggi”: donazioni e lasciti ingenti provenivano dalle famiglie più abbienti per accaparrarsi le fanciulle. L’ampliarsi di questo conservatorio, e l’esigenza di tenere le fanciulle rinchiuse, lontane da ogni forma di tentazione che avrebbe potuto comprometterne la purezza e dunque la possibilità di un buon matrimonio, spinsero la congregazione a cercare una nuova sede. Fu acquisito il palazzo dei principi Acquaviva di Caserta e le figliole vi furono trasferite nel 1591. In seguito, all’apice del successo dell’arte serica, la Congregazione acquistò un altro palazzo adiacente, appartenente al duca Scipioni di Castrovillari e realizzò una chiesa dedicata ai santi Filippo e Giacomo, protettori delle malattie della pelle, ovvero quelle più temute dai tintori a causa delle sostanze utilizzate nella lavorazione della seta.  La prima chiesa è del 1641, mentre la chiesa attualmente visibile è frutto di un rifacimento settecentesco, ad opera dei migliori artisti del tempo, basti pensare che i santi che si stagliano sulla facciata della chiesa sono sculture opere di Giuseppe Sammartino, lo stesso autore del celeberrimo Cristo Velato.

 

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La chiesa

Nel tempo la Chiesa è stata lasciata all’abbandono e al degrado, danneggiata definitivamente dal sisma del 1980 e dalle spoliazioni che sono seguite che hanno raggiunto livelli da vero e proprio saccheggio: tele, marmi, decorazioni sono state tagliate di netto e perdute per sempre. La bellissima pavimentazione interna in cotto e maioliche, realizzata, tra gli altri, dai fratelli Massa, come per il chiostro della chiesa di S. Chiara, si presenta rotta in più punti e con vistose macchie di umidità e anche le cappelle laterali di entrambi i lati sono danneggiate. A seguito dei danni subiti dal terremoto è stata svolta un’attività di consolidamento cui purtroppo non è seguito il restauro vero e proprio a causa della mancanza di fondi.

La memoria, il fascino, la storia custoditi e il valore artistico dell’edificio restano però immutati. 

Oggi la chiesa è visitabile grazie soprattutto all’impegno dell’associazione Respiriamo Arte, cinque ragazzi appassionati nello studio e nella ricerca intorno ai tesori che questo luogo custodisce. Si tratta di Simona Trudi, Massimo Faella, Angela Rogliani, Marcello Peluso e Francesca Licata. E’ Simona ad accompagnarci nella nostra affascinante visita.

Attualmente l’edificio custodisce importanti tracce dell’architettura rinascimentale in città. La facciata si presenta leggermente rientrata rispetto al decumano inferiore di San Biagio dei Librai . Lo spazio interno ha una navata unica, con quattro cappelle per lato, e termina nella zona presbiteriale con un’alta parete absidale. Sul pavimento maiolicato è presente lo stemma della Corporazione, mentre la zona absidale è sormontata da una cupola. Oltre alle decorazioni in stucchi e marmi policromi, tra le opere più significative ricordiamo gli affreschi settecenteschi di Jacopo Cestraro nella volta della navata, i cui colori, ad oggi e senza che sia intervenuto alcun restauro (è ben visibile la crepa che si è generata col terremoto) si presentano vivi e brillanti, come quelli tipici dei tintori napoletani. 

Da una botola all’interno di una delle cappelle, attraverso una ripida scalinata si accede alla cripta. Qui un altare e le sepolture riservate ai membri della Congregazione. Il luogo è affascinante e misterioso. La cura dei defunti avveniva con la tecnica della doppia sepoltura: dopo una prima breve inumazione i corpi, essi venivano riesumati  in attesa che la fuoriuscita dei liquidi, anche a distanza di molto tempo, ne determinasse la scheletrizzazione. Solo infine si procedeva alla sepoltura definitiva.

Dopo aver riguadagnato la superficie, lasciamo la navata della chiesa e ci spostiamo alle spalle dell’altare, dove le grate, del tutto simili a quelle della clausura, permettevano alle figliole di assistere alla Messa e prendere la Comunione senza mai entrare in contatto con gli estranei né essere viste.

La Chiesa non smette di stupire e così, accedendo dal cortile del palazzo Spinelli di Castrovillari ci ritroviamo innanzi ad importanti ritrovamenti archeologici, con un opus reticulatum ottimamente preservato e, a un livello ancora più basso,una strada di epoca romanache portava verso il mare.

L’ultima tappa è la Sacrestia settecentesca, frutto del fine artigianato ligneo napoletano: un bellissimo altare ligneo fa sfoggio di sé, splendido nonostante il passare del tempo e i danneggiamenti subiti anch’esso negli anni del post terremoto, e ancora un armadio dipinto a mano, un trono intarsiato dove, ancora una vota campeggia lo stemma della Congregazione con i tre fusi e le sete, finemente lavorate, con le sfumature dai mille colori.

La chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, nel pieno del centro storico e dunque delle tappe del turismo, è sconosciuta ai più, eppure la sua esplorazione è un viaggio nel tempo, una collezione di racconti affascinanti, di storie preziose come gemme, da quella artistica e commerciale dell’arte serica a quella umanissima delle figliole, dei loro destini, dei loro sogni consumati dietro alle grate lontane dal mondo, fino al trionfo di arte sacra nelle meravigliose opere esposte, frutto del lavoro dei più grandi artisti del tempo.

 

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