Giuseppe Bilotta, pittore e poeta: E se fosse tutto vanità e naufragio?

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di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Conosciuto in un convegno, il noto artista poeta Giuseppe Bilotta mi è divenuto subito amico, per la stima che ha suscitato in me il suo amore per lo studio dell’arte che anima la sua vita, ed inoltre per la sua straordinaria memoria della Storia. Di lui hanno scritto illustri studiosi che hanno voluto rendergli omaggio nel volume ”Per Giuseppe Bilotta” edito da Villa Crime, qualche anno fa. Tra gli autori molti nomi mi hanno interessato particolarmente e mi hanno stimolato a leggere con attenzione gli scritti sulle opere e la figura di Bilotta. Nel libro, a cura di Raffaele Merone, inizia a scrivere Stelio M. Martini in “L’Opera e la figura di Giuseppe Bilotta”. Segue Alessandro Carandente che osserva in particolare alcune frasi dell’artista che riflette sul proprio lavoro: “E se fosse tutto vanità e naufragio?”. Ma non concorda. Tra una pagina e l’altra troviamo disegni di Umberto Leonetti, Salvatore Vitagliano, Pasquale Truppo. Proseguono gli scritti di Battista Nazzaro che definisce il poeta una “ricercatore puro, uno sperimentatore che, come tale, si serve di una molteplicità di lingue – dal latino al vallone, dal greco al tedesco, dallo spagnolo al sanscrito -, per costruirsene una esclusivamente sua”. Segue un disegno di Giancarlo Savino e poi un acrostico in nero di Franco Capasso. Leggiamo proseguendo: “Sulle tracce del Silenzio” di Ugo Piscopo, poi “poesia Necessaria” di Marino Freschi e “I viandanti del silenzio” di Aldo Trione, intervallati dalle immagini di Gerardo di Fiore, di Rob Shazar e Raffaele Merone. Accompagna lo scritto “Sull’ombra della cultura” di Eduardo Alamaro con un’immagine ancora di Raffaele Merone. Seguono scritti di Francesco Ferrante, di Jean Charles Vegliante in francese, di Mirella Laraia che completa la prima parte della pubblicazione con “Alfano, Malaval e Masson per il mondo di Rara Avis tra arte, realtà e storia”. Dopo questi ultimi scritti segue un collage di Max Bau. Nella seconda parte del libro viene pubblicata una serie di Inediti: undici Autoritratti in prosa, molto interessanti, tra cui dodici poesie per Rosa (Giuseppe Bilotta, fra i tanti libri, aveva già scritto un libro di poesie per la moglie Rosa) ed alcune pagine da “Il libro di Rob Shazar”. Nel primo “Autoritratto”, si descrive uno scrittore del Settecento, tra le righe si parla anche della morte di Gioacchino Marat ucciso da Charlotte Corday in un periodo triste in Francia, in cui furono uccise tremila persone, tra cui la Regina Maria Antonietta. Segue l’Autoritratto di un bravo attore di teatro del Boulevard dell’Ottocento, ripreso durante un pericoloso temporale. Segue la descrizione di un dandy, un poeta severo e distaccato dell’Ottocento. Segue poi l’autoritratto di un esiliato del Novecento, che vive solitario con la sua amica Barbara, e che ricorda il geniale Gauguin. Segue l’Autoritratto di un uomo molto teso e poi l’Autoritratto di un uomo staccato dalla realtà, entrambi del Novecento. Riappare l’ombra dell’autore in un Autoritratto del Novecento, l’autore si ispira al Monte Echia, ai suoi luoghi, solitario e pigro, preso da l’ozio latino cui si abbandonavano Cicerone e Plinio il Giovane. E ricorda di farsi riprendere dal senso del dovere che gli sembra di aver trascurato. L’ultimo Autoritratto è quello di un uomo che si considera geniale e conclude: “che io sia un uomo … è qualcosa che ho in comune …. con tutti gli uomini … Ma che io sia io … È esclusivamente mio …. e appartiene a me ….. “. Con altri versi Bilotta chiude i suoi “Autoritratti” e questo suo libro.