La separazione tra Banche e Fondazioni bancarie è inevitabile

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La lezione generale da trarre da tutti questi episodi: Unicredit, Mps, Banca Marche, Carife, Carichieti, e PopEtruria è la presenza determinante delle fondazioni nel capitale di rischio delle banche che rende più difficile fare la ricapitalizzazione nel bisogno quando serve. Proprio nel momento che le banche devono aumentare i requisiti di capitale e le fondazioni, come noto, sono utilizzatrici del reddito dalle banche e non possono generare autonomamente flussi di cassa. Le fondazioni non hanno altre fonti alternative. Spesso le fondazioni, per evitare di ridurre il loro capitale nelle banche possono ritardare e bloccare l’apporto di capitale dai privati per mantenere il potere ed il controllo all’interno della banca. Non si capisce perché in sei delle prime sette fondazioni italiane, almeno un esponente proviene dalle gerarchie vaticane. C’è ad esempio: un membro indicato dall’Arcivescovo della Diocesi di Milano nella Commissione Centrale di Beneficenza della Fondazione Cariplo. Un esponente nominato dall’Arcidiocesi di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, è stato inserito nella Deputazione Generale della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Sono tre, invece, i membri designati dai Vescovi di Verona, Vicenza, ecc. L‘ottuagenario Giuseppe Guzzetti, ancora molto potente, difende le fondazioni da chi li accusa di essere la macchina dei poteri forti. Secondo Guzzetti: “le fondazioni sono investitori istituzionali e non possono interferire nella gestione della banche”. Ma chi ci può credere? Allora a che servono i Consiglieri? Quando ero all’IMI alla fine del 2002, i maggiori azionisti della Fondazione Compagnia di San Paolo erano Agnelli che aveva il 6% e l’Ifil (sempre Agnelli) che aveva anch’esso il 6%. La forza di Agnelli fece fare l’accordo con la Fondazione Compagnia di San Paolo con Prodi, e fu così che si produsse l’acquisto del Banco di Napoli. Adesso si è aggiunto un altro disastro per le fondazioni. Rainer Masera non più presidente della Banca Marche, nell’ottobre del 2014, ha detto: “non ci sono i presupposti per rafforzare il patrimonio”. Tutto ciò è il risultato di valutazioni afferenti i crediti problematici passati. Non sono state applicate nella Banca: Basilea 1, 2, e 3, il cui importo complessivo ha superato la normale prudenza sulle analisi dei clienti. I conti economici e lo stato patrimoniale, dovevano servire soprattutto nelle proiezioni dove si poteva vedere se il prestito veniva restituito. A ciò si sono aggiunti gli accantonamenti che non sono stati fatti. La nuova Banca delle Marche spa, che da pochi giorni dispone di un capitale fresco di 1.041 mln €, ha assorbito le perdite accumulate nel tempo dalla ‘vecchia’ banca chiedendo in prima battuta “sacrifici agli azionisti e ai possessori di obbligazioni subordinate”. L’impatto è molto pesante per la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, che vede impegnato oltre l’80% del suo capitale in Banca Marche, da oggi in liquidazione coatta amministrativa. Si stima una perdita, dal 2012 ad oggi, di oltre 90 milioni di euro tra azioni e 15 mln di prestito obbligazionario subordinato sottoscritto da Banca Marche nell’estate 2013. Tra il 2013 ed il 2014, le tre Fondazioni avevano già incassato pesanti svalutazioni delle rispettive partecipazioni nella banca conferitaria. In una notte la Fondazione Jesi aveva ‘bruciato in Euro’ 48.079.273 mln di euro in azioni, la Fondazione Pesaro 94.679.702 milioni di euro in azioni e la Fondazione Macerata 80.226.702 milioni. Ad evitare che Intesa ed Unicredito possano continuamente indebolirsi e intervenire per la bisogna delle banche dissestate sarà necessaria fare una legge che separi le Fondazioni Bancarie dalle Banche.