Congo, la confutazione del dubbio

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In Congo si spara come se niente fosse, e la diplomazia rivela retroscena sempre più inquietanti. Si spara su chiunque abbia un’auto ufficiale. Si spara su chi dovrebbe riportate la legge. Soprattutto, si spara su chi sta cercando una difficile verità. Sulle alture del Kivu, la regione del genocidio infinito, poco lontano dal luogo in cui sono stati uccisi il 22 febbraio Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista, Mustafa Milambo, proprio lì è stato assassinato martedì sera uno dei magistrati che indagano sull’agguato all’ambasciatore italiano. Il maggiore William Mwilanya Asani, revisore dei conti alla Procura militare di Rutshuru, è morto mentre tornava da una settimana trascorsa a Goma, al termine d’una serie d’incontri con altri investigatori congolesi. Il suo convoglio, scortato dal colonnello Polydor Lumbu del 3409° Reggimento delle Fardc, le forze armate, stava percorrendo al buio la strada verso Kaunga ed era arrivato all’altezza del villaggio di Katale, qualche decina di chilometri dalla località in cui è stato ammazzato Attanasio.

Asani è morto all’istante, il colonnello Lumbu è ricoverato per ferite gravi. Secondo la versione ufficiale – e questo è a prima vista singolare, anche per la rapidità con cui sono state condotte le indagini – a sparare non sarebbero stati i “soliti” miliziani ruandesi delle Fdlr, in genere accusati dal governo di qualsiasi delitto (compreso quello dell’ambasciatore). No, stavolta l’agguato sarebbe stato teso dai militari in abiti civili d’un altro reggimento congolese, il 3416°: “Avevano messo un posto di blocco sulla Rn2 e si stavano accanendo sulla popolazione locale – riferisce un portavoce della polizia -, quando hanno visto le jeep militari e hanno iniziato a sparare”. La prova verrebbe dai documenti trovati su uno degli assalitori, ucciso nello scambio di colpi: il sergente Okito Longonga, che appunto appartiene al 3416° Reggimento. L’uccisione di Asani rientrerebbe dunque nelle rivalità fra soldati con la stessa divisa, piuttosto frequenti in questa parte di Congo: un anno fa, sette militari furono uccisi da commilitoni mentre trasportavano 100mila dollari, destinati agli stipendi.
Non è chiaro che ruolo avesse il maggiore,nell’inchiesta Attanasio. La procura militare di Rutshuru è uno degli uffici incaricati d’investigare. E dai vertici che si sono tenuti a Goma, poco è trapelato: la task-force inviata nel Kivu dal governo centrale, per ora, ha deciso soltanto che ogni spostamento d’organizzazioni internazionali sulla Rn2 e nella regione dev’essere prima comunicato alle autorità. Una misura evidentemente insufficiente, su un territorio dove s’è quasi perso il controllo: stando ai rapporti del Kivu Security Tracker, un servizio gestito da varie ong, fra le 122 milizie che si muovono in zona spiccano gli abusi, gli affari, la corruzione, le violenze dello stesso esercito. A parole, la solidarietà e la collaborazione sono garantite: nelle ore dell’agguato al maggiore Asani, a Kinshasa si celebrava in cattedrale una messa in suffragio d’Attanasio e Iacovacci, alla presenza del presidente Felix Antoine Tshisekedi Tshilombo e del cardinale Fridolin Ambongo, con la lettura d’un messaggio speciale del Papa affidato al nunzio apostolico Ettore Balestrero. Nella sostanza, però, sono pochi gli elementi forniti ai Ros dei Carabinieri, inviati sul luogo. Tanto che martedì in commissione Esteri, alla Camera, s’è ipotizzato di classificare il caso Attanasio come crimine di guerra: in questo modo, ha spiegato il segretario della rete Pga (Parliamentarians for Global Action), David Donat Cattin, “l’Italia avrebbe i mezzi giuridici per incriminare coloro che finanziano, armano e dirigono il gruppo armato che ha attaccato il convoglio Onu, a prescindere dall’esistenza di ordini specifici a subordinati che sarebbe imprudente ridurre al rango di meri banditi”.