Fontaine Blanche, le misteriose trame della vita

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di Fiorella Franchini

“C’è sempre, nella nostra vita, una misteriosa coerenza, un filo conduttore, una trama che qualcuno chiama vocazione, o chiamata, o addirittura destino. – sostiene Francesco Alberoni – Che dobbiamo saper riconoscere e che dobbiamo avere il coraggio di non tradire se vogliamo restare noi stessi, e fare qualcosa che vale”.

Fontaine Blanche di Maria Rosaria Pugliese – Homo Scrivens editore – narra il percorso di una tendenza innata, di un trasporto interiore, di una vocazione, quella di Alexandre Milleret, originario della Borgogna e appartenente a una famiglia di piccoli imprenditori vinicoli e di forti valori laici che, giovanissimo, decide di diventare prete. Si dedica per diversi anni al suo ministero poi, in un paesino della Picardia, incontra Martine e se ne innamora.
Il romanzo non è il resoconto di una relazione proibita, bensì un lungo diario di vita che affronta una vicenda delicata, un cambio di rotta. Una storia d’amore, apparentemente, s’interrompe e ne nasce un’altra. Alexandre decide di lasciare il sacerdozio e di seguire la via del matrimonio, dall’unione spirituale all’unione umana.
Maria Rosaria Pugliese riesce a narrare con delicatezza e profondità non solo un percorso intimo, interiore ma a porre l’accento su di un tema molto complesso e spinoso colmo d’implicazioni religiose e sociali.
Sono oltre 100mila i sacerdoti che negli ultimi trent’anni hanno abbandonato la tonaca e il romanzo sottintende molte domande: bisogna ripensare il celibato dei preti? Il legame tra celibato e sacerdozio è cristologico o appartiene solo alla tradizione ecclesiastica? Che senso hanno castità e celibato? Matrimonio e sacerdozio hanno un valore differente? Qual è il ruolo degli ex preti nella società?
Quesiti che animano un dibattito difficile tra laici, religiosi, filosofi, e che l’autrice in più occasioni e con varie modalità narrative suggerisce al lettore che vive con il protagonista la scoperta di un nuovo sentimento, di una nuova emozione, il dissidio interiore, il pregiudizio umano, le difficoltà della vita quotidiana, il senso di colpa e il dolore.
In Fontaine Blanche vi è il mondo intimo dei personaggi, i loro processi psichici, gli stati d’animo e le riflessioni consce o inconsce. Accanto alla concatenazione logico-cronologica degli avvenimenti e dei fatti e alla rappresentazione dei luoghi, Borgogna, Picardia, Bretagna, l’autrice accentua la tendenza a concentrare l’attenzione sull’interiorità dell’individuo a discapito dell’intreccio che si assottiglia. E’ un romanzo narrato in terza persona ed è frequente l’uso della focalizzazione interna, un procedimento che permette di registrare i diversi punti di vista dai quali un personaggio può essere conosciuto e compreso. Accanto al narratore onnisciente, ai dialoghi veri e propri, vi è l’uso del monologo interiore che rivela i pensieri, i desideri e i moti della coscienza.
In filosofia la chiamata, è la “vocazione” a sentirsi partecipi di un progetto universale, ognuno nel proprio ambito specifico. Anche in senso cristiano la vocazione non è esclusivamente quella sacerdotale-religiosa, ma tutti sono chiamati a riconoscere i propri talenti e a metterli in pratica, in un’ottica di fede, per il bene proprio e del prossimo.
Il percorso di Alexandre è lineare, la scelta spirituale, l’accettazione della famiglia, il seminario, l’ufficio di parroco e la dedizione agli altri. Un giorno entra nella sua vita Martine e scaturisce dal cuore un altro trasporto interiore, il desiderio di sentirsi partecipe di un altro progetto di vita.
La società religiosa e laica, se da un lato sente l’esigenza di un cambiamento, dall’altra evita il confronto sul tema. Il mondo degli ex preti, quelli che hanno abbandonato la tonaca per rientrare nella società, spesso in compagnia di una moglie, è complicato, li vede alle prese con una nuova vita e una nuova identità, impegnati con la necessità di dover ricominciare senza mai aver compilato un curriculum o cercato casa, orfani dell’abbraccio della Chiesa. C’è chi si è “convertito” in assistente sociale, qualcuno lavora in fabbrica, altri si sono reinventati imprenditori o rappresentanti. I più fortunati insegnano, in tanti sono alla ricerca disperata di un’occupazione, ma quasi nessuno dice di aver perso la fede.
Molto spesso sono prigionieri di una perenne “terra di mezzo” non solo sociologica, ma anche psicologica perché chi abbandona l’abito talare non può più esercitare, ma per la fede cattolica il sacramento del sacerdozio rimane impresso in modo «indelebile». In qualche modo, dunque, si è preti per sempre. Quanto al matrimonio, c’è chi l’ha celebrato con rito civile e si è posto al di fuori della Chiesa, e chi, dopo un processo diocesano, spesso molto lungo, ha atteso la dispensa papale ha potuto invece pronunciare il sì.
Ci sono i conti con la coscienza e quelli con la fine del mese. Il “segreto” per non restare prigioniero di una vita e di una mentalità da ex sacerdote spesso è cambiare aria, accumulare esperienze e solo allora tornare nel proprio paese. E’ quello che fa Alexandre, prima con Martine poi da solo ma il cammino è lungo e lo conduce in un peregrinare solitario e doloroso.
Un viaggio interiore che offre all’autrice la possibilità di raccontare anche luoghi speciali, la loro storia, la varietà dei paesaggi, il carattere degli abitanti, solidale e accogliente, poiché “ogni territorio è presente, è passato, è un altrove in cui ritrovarsi”.
Il protagonista è un uomo colto e sensibile che conosce la differenza molto grande tra castità e celibato. La castità è la virtù che protegge l’amore dall’egoismo e lo aiuta a essere puro. Della castità, così intesa, tutti hanno bisogno, perché la tentazione di ripiegarsi su se stessi è continua. Per la Chiesa la castità è la stessa cosa che richiamare la purezza dell’amore e il sentimento di Alexandre e Martine è un amore puro, un amore che si dona in maniera gratuita.
Il cuore di Alexandre è grande, ama in maniera casta e profonda Martine e Cristo, ma sarà sufficiente?
Oggettivamente lo stato di vita coniugale e celibatario, sotto l’aspetto del valore cristiano, sono perfettamente uguali davanti alla perfezione dell’amore per Dio e per gli uomini. Matrimonio e celibato ricevono il loro valore dalle intenzioni, dai motivi e dai propositi delle persone cristiane che li assumono e dal giudizio circa l’utilità e i vantaggi rispetto a una determinata funzione o un determinato incarico.
Perciò non si possono paragonare. Ognuno ha la sua forma di amore e di comunione, di presenza e di servizio. Il matrimonio quanto il celibato sono un dono di Dio e perciò, entrambe sono vocazioni sante.
Nessun valore umano e cristiano è estraneo a questi due stati di vita. Il prete sposato, per esempio, è nelle migliori condizioni per inserirsi nei problemi attuali delle famiglie cristiane. Il ministero pastorale di uomini sposati ha nel mondo di oggi un valore di segno, soprattutto per enfatizzare la dignità del matrimonio cristiano.
La “legge del celibato”, cioè come norma che per diritto canonico “impedisce” alle persone sposate di accedere al sacramento dell’Ordine, è chiaramente una norma ecclesiastica, cioè fatta dalla Chiesa e non emanante dalla Parola di Dio, che in san Paolo prevede che siano scelte al diaconato, al presbiterato e all’episcopato anche persone sposate, purché lo siano state «una sola volta» e abbiano dato buona prova nell’educazione dei figli.

La “legge della continenza” invece è, di origine apostolica e si radica nella figura stessa di Gesù che ha chiesto ai suoi apostoli una sequela radicale, che comportava un abbandono della vita coniugale, in accordo con l’eventuale sposa, che da quel momento diventava una “sorella”. Il celibato sacerdotale dunque, pur essendo una regola della Chiesa, è però un “dono” prezioso, che la Chiesa cattolica ha maturato nel tempo e che conserva gelosamente perché è il mezzo migliore per tenere alta la spiritualità dei suoi ministri, in conformità con le esigenze del Vangelo.
Fontaine Blanche è un romanzo che pone interrogativi drammatici come è tragico, complesso, è il percorso umano e spirituale di Alexandre Milleret, una storia che lascia la profonda sensazione di aver trascorso del tempo in compagnia di personaggi interessanti e di emozioni intense. Un compito che richiede scelte consapevoli da parte dell’autrice, la capacità di suscitare empatia e, soprattutto, una scrittura che sia semplice ed efficace. Spesso la Letteratura esalta lo stile criptico, quasi sia sinonimo di pregio, ma come sostiene Karl Popper, “Niente è più facile dello scrivere difficile”. La scrittura di Maria Rosaria Pugliese, invece, è scorrevole, elegante, di grande ricchezza descrittiva e riflessiva. Le vicende non mancano di spessore, di pathos e di cura particolare per i dettagli e, nel finale, aleggia un significato morale che sfiora temi filosofici e storici. In Fontaine Blanche la conclusione della narrazione, che s’ispira alle tradizioni e alla magia della Bretagna, è suggestiva, surreale e lascia ampie facoltà alla fantasia e alla sensibilità del lettore che può scegliere la propria strada.
Filosofia tradotta in immagini che mette in scena le contraddizioni della vita. Infondo, ha scritto Hermann Hesse, “ La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di conoscere se stessi…Il problema è realizzare il suo proprio destino, non un destino qualunque, e viverlo tutto fino in fondo dentro di sé”.