Stagnaro: La mia rivoluzione per il Mezzogiorno

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Come ogni anno l’istituto Bruno Leoni pubblica il rapporto annuale sull’indice delle liberalizzazioni. L’indagine costruisce infatti, per la prima volta, una “classifica” tra i 15 paesi membri Come ogni anno l’istituto Bruno Leoni pubblica il rapporto annuale sull’indice delle liberalizzazioni. L’indagine costruisce infatti, per la prima volta, una “classifica” tra i 15 paesi membri della “vecchia” Europa. I settori esaminati sono: carburanti, elettricità, gas, mercato del lavoro, servizi postali, telecomunicazioni, televisioni, trasporto aereo e trasporto ferroviario. Per ognuno di questi settori, attraverso l’identificazione di una serie di criteri, è stato costruito un indice di liberalizzazione, pari a 100 per il paese più liberalizzato e a 0 per quello meno liberalizzato. Dalla media tra i risultati settoriali è così emerso un indice di liberalizzazione complessivo per ciascun paese, che esprime sinteticamente la maggiore o minore presenza di barriere all’ingresso, all’esercizio e all’uscita delle imprese dal mercato. Ad aprire la classifica, come paese più virtuoso, è il Regno Unito, a chiuderla è invece l’Italia. Ne parliamo con Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni che si occupa di economia dell’energia ed economia dei servizi pubblici. Dal 2007 cura il rapporto annuale “Indice delle liberalizzazioni”. Carlo, anche quest’anno il mercato italiano non è riuscito a raggiungere la sufficienza: siamo condannati ad aspettare Godot oppure no? Anche per la concomitanza con le elezioni politiche e il conseguente stallo politico, il 2013 è stato senza dubbio un anno privo di particolari innovazioni dal punto di vista della concorrenza. Purtroppo il tema delle liberalizzazioni, pur presente nel dibattito politico, è stato del tutto assente dall’agenda dell’ex premier Enrico Letta e lo stesso Matteo Renzi non vi ha dedicato particolare attenzione nei suoi interventi in parlamento. Eppure vi sono casi in cui la questione è ineludibile: penso in particolare alla privatizzazione di Poste, avviata da Letta e Saccomanni, che rischia però di creare più problemi di quanti ne risolva se non sarà accompagnata dalla piena apertura del mercato. In questo senso faccio mia la sfida lanciata da Piercamillo Falasca sul mensile “Strade”: Renzi rispetti la legge che impone al Governo di produrre ogni anno, sulla base delle indicazioni dell’Antitrust, una legge annuale per la concorrenza. I lettori del Denaro hanno ormai familiarità col leggere le pagelle sul paese in cui viviamo – grazie anche alla collaborazione con Italia Aperta – ora proviamo a dare qualche voto con l’Indice Bruno Leoni, Carlo… Se il 60 corrisponde a un 6 in pagella, l’Italia, nel 2013, si è fermata a una media del 28, risultando ultima della classe in Europa, addirittura dietro la Grecia. Tra i nove settori del mercato italiano che sono stati analizzati, l’unico promosso con 78 punti, è quello del gas. Si avvicina alla sufficienza, ma la manca per un pelo, il settore del trasporto aereo, con 59 punti. In questo caso la liberalizzazione è trainata dall’apertura e dall’integrazione dei mercati europei e, paradossalmente, è stata agevolata dalla debolezza di Alitalia. In coda classifica, dopo il settore televisivo, bocciato in toto con 0 punti, il penultimo in classifica è il mercato postale con 2 punti. Per quanto riguarda gli altri settori, quello dei treni si attesta a 36 punti, l’elettricità a 30, la telefonia a 26, il lavoro alle i carburanti a 8. Tutti i settori nei quali l’Italia ottiene valutazioni molto basse sono caratterizzati o dalla forte presenza pubblica, attraverso monopolisti o quasi-monopolisti controllati dallo Stato, oppure per un livello assai elevato di interventismo attraverso norme, regolamentazioni e imposte distorsive della concorrenza. Per questa ultima edizione, il rapporto include anche un saggio sull’evoluzione della regolamentazione nel settore delle professioni, che ci puoi dire su ciò? Lo siamo e anzi, quei pochi passi avanti che erano stati fatti grazie alle “lenzuolate” di Bersani e ad alcuni provvedimenti del governo Monti sono stati messi in seria discussione. Penso in particolare al ritornomascherato delle tariffe, al divieto del patto di quota lite e ai nuovi vincoli alle società di capitali nell’ambito delle professioni. Tutto questo è preoccupante non solo per l’effetto diretto della minore concorrenza, ma anche e soprattutto perché segna una feroce inversione di tendenza, che darà fiato anche a quanti si oppongono alle liberalizzazioni in settori ancora più retrivi alla concorrenza. Chiudiamo con qualche riflessione sulle regioni in cui viviamo, quelle meridionali. Dove e Come innescare un processo virtuoso di crescita? Il Sud ha grandi opportunità di crescita, sempre troppo sprecate, come il resto della Penisola. La politica dei trasferimenti al Sud non ha prodotto crescita ma corruzione. Ha favorito il clientelismo politico, imbrigliato la concorrenza e ostacolato la valorizzazione dei talenti. Degli oltre 43 miliardi di euro dei fondi europei 2007-13, ne abbiamo spesi pochi (il 22,6 per cento) e male. Il capitale umano è alla base del progresso economico e civile. I punteggi Invalsi di uno studente meridionale sono di 4-6 punti percentuali più bassi della media. In questo senso riformare la scuola, introducendo forme di valutazione della performance di istituti e docenti e incentivando la concorrenza tra istituti pubblici e con istituti privati, è davvero la chiave di volta del rilancio del Sud. E’ necessario anche ridurre drasticamente la rete delle aziende controllate dalle Regioni. Gli obiettivi delle amministrazioni devono essere misurabili, e i loro atti resi pubblici in modo comprensibile a tutti. Un’opportunità per la Campania – e tutto il Sud – può derivare dalla gestione privata dei beni culturali. Non è possibile, infine, tollerare ancora la malagiustizia: ad esempio, aspettare oltre 5 anni (Salerno) o quasi (Messina) per la risoluzione di un contezioso civile.


La proposta in pillole • Gestione privata del beni culturali • Incentivi alla concorrenza tra formazione pubblica e privata • Introduzione di criteri per misurare operato degli enti pubblici • Investimento più efficiente dei fondi europei • Riduzione delle società controllate dagli enti pubblici • Riforma della giustizia • Riforma del sistema scolastico • Riqualificazione delle infrastrutture Fondi europei tallone d’Achille: al Sud investito solo il 22% delle risorse