Superbonus e politica: continuando così, ci facciamo solo del male

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di Raffaele Tovino*

In Italia il fenomeno dell’astensionismo dilaga, ma non c’è troppo da chiedersi perché. Nessun opinionista deve andare troppo lontano da ciò che accade sotto i suoi occhi per risalire alle cause di una tendenza che sembra ormai incontrovertibile. Nessuna sorpresa e meraviglia, insomma. Succede perché il cittadino – imprenditore o lavoratore che sia – non solo non ha perso la fiducia nei decisori politici, ma li teme come fonte principale di problemi che hanno come unico esito: la consapevolezza degli italiani di vivere in un Paese ingiusto.

O almeno un Paese che non è serio. Infatti ci sarebbe da ridere, se la situazione non fosse seria e per molti italiani drammatica. Anche col Superbonus è prevalsa la consuetudine italica di fare e disfare, costruire e poi distruggere, cambiando le regole in corsa, strada facendo. Un difetto che sembra non sradicabile perché parte del nostro Dna. Ecco ciò fa dell’Italia, agli occhi degli investitori stranieri (e ormai a grande parte degli elettori), una nazione dalle abitudini incomprensibili.

Ed a proposito di superbonus, è noto che un decreto del governo ha bloccato la cessione del credito e lo sconto in fattura per tutti i nuovi interventi edilizi, riconoscendo solo quelli che hanno già presentato la comunicazione di inizio lavori. E non è la prima correzione di rotta, perché i rimpalli e i rattoppi per sistemare il caos generato dalla misura iniziano il giorno dopo della sua approvazione.

Resta valida (per ora?) la detrazione fiscale portata in dichiarazione dei redditi, passaggio che tuttavia richiede che prima si spenda per poi recuperare, nel tempo, la somma. Una mossa, secondo le associazioni di categoria, che mette a rischio di fallimento più di 25mila imprese.

Quindi non sarà più possibile accedere allo sconto in fattura né alla cessione del credito di imposta, mentre resta la possibilità di detrarre gli importi. In particolare, il decreto abroga le norme che prevedevano la possibilità di cedere i crediti per tutti i nuovi interventi edilizi. Il governo quindi blocca l’acquisto dei crediti, sovvertendo il criterio che inizialmente consentiva agli enti pubblici di intervenire, senza aver individuato ancora una soluzione alla conseguenza certa di spingere al fallimento migliaia di imprese che sono rimaste senza liquidità, bloccando quini i cantieri si fermeranno del tutto. “Non posso credere – ha dichiarato Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), – che il governo pensi di fermare il processo di acquisto dei crediti da parte delle Regioni senza prima aver individuato una soluzione strutturale che eviti il tracollo”. E alla fatidica domanda – a quanto ammonta il danno? – la risposta della Brancaccio è stata chiara e inequivocabile: i crediti già in attesa di essere acquistati ammontano a più di 15 miliardi, il che si traduce in un totale di oltre 25 mila imprese in pericolo, senza liquidità e, quindi, a rischio fallimento.

Ma veniamo al punto centrale. Che cosa può mai importare a Luigi Rossi, imprenditore o lavoratore che sia, che il superbonus sia stato concepito dal governo Conte e che adesso c’è un governo espresso da un’altra maggioranza? Perché mai deve essere trascinato in un regolamento di conti tra l’attuale maggioranza e quella che ha governato prima di Mario Draghi? E ancora: come possiamo pretendere rispetto e considerazione nel mondo, anzitutto dagli investitori stranieri, se il nostro Paese mostra di vivere sempre in un clima elettorale, con una classe politica che appare capace solo di polemiche e contrapposizioni tipiche delle tifoserie allo stadio? Ragion per cui: risparmiateci almeno lagne e piagnistei che seguono al giorno delle consultazioni. Perché continuare così? Come sistema Paese ci facciamo solo del male. Non ci capiscono gli investitori stranieri, non lo giustificano con il loro buone senso gli stessi elettori.

L’economia italiana si avvia ad evitare la recessione anche nel 1° trimestre del 2023. Nelle previsioni dei diversi analisti per il 2023, il PIL italiano va meglio dell’atteso. Il prezzo dell’energia è sceso, quello dei metalli risale, ma c’è meno inflazione e quindi si intravede la svolta per i tassi. L’Italia si dimostra molto resiliente, con l’industria che migliora, anche se non le costruzioni, e i servizi in crescita. Tengono i consumi delle famiglie, gli investimenti sono in ripresa, ci sono più occupati ma anche più scarsità di manodopera. L’export è in frenata, tra un’Eurozona con una ripresa diseguale e gli USA in cui la crescita è senza industria.

*direttore generale ANAP – Associazione nazionale aziende e professionisti